Il caso della vigilessa esclusa
Una donna di 35 anni, madre di due bambini, si è vista esclusa dal concorso per diventare vigilessa a causa di alcuni piccoli tatuaggi. La Commissione medica della polizia di Chieti ha stabilito che i tatuaggi violano il regolamento che vieta tali segni distintivi agli appartenenti alle forze dell’ordine. La donna ha presentato ricorso al Tar di Pescara, chiedendo la sospensione cautelare della sua esclusione dalla graduatoria, ma il tribunale ha respinto la richiesta, rimandando l’esame del caso a una successiva udienza di merito.
Discriminazione di genere nel regolamento
Il ricorso della vigilessa esclusa è sostenuto dagli avvocati Amedeo Di Odoardo e Fabio Caprioni, che hanno evidenziato come il regolamento penalizzi in modo particolare le donne. Infatti, mentre gli uomini possono indossare pantaloni che coprono i tatuaggi, le donne sono obbligate a indossare gonne, rendendo visibili i loro segni distintivi. Questo aspetto ha sollevato interrogativi sulla parità di trattamento tra i sessi all’interno delle forze dell’ordine. L’avvocato Di Odoardo ha dichiarato: “Non c’è alcuna logica nell’escludere la ricorrente, poiché il suo tatuaggio non sarebbe visibile se indossasse i pantaloni”.
Un dibattito in evoluzione sui tatuaggi nelle professioni
Il caso della vigilessa di Lanciano non è isolato. Già in passato, situazioni simili sono state portate all’attenzione della giustizia, come un caso analogo che ha visto il Tribunale amministrativo regionale del Lazio riconoscere una chiara discriminazione. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha confermato la discrezionalità degli enti locali nell’applicare tali regolamenti. Questo solleva interrogativi su come i tempi siano cambiati riguardo ai tatuaggi in professioni tradizionalmente rigide come quelle delle forze dell’ordine. Molti auspicano che le normative vengano riviste per riflettere una società in evoluzione, dove l’espressione personale non dovrebbe essere motivo di esclusione.